venerdì 11 gennaio 2008

AI CATTOLICI IL FILM SANGUINARIO SULLA PASSIONE DI GESU' E PIACIUTO MOLTO

Il film di Gibson

Una Passione di violenza e di amore

Di Vittorio Messori


Nella saletta insonorizzata la luce si riaccende dopo due ore e sei minuti...


Non siamo che una dozzina (io il solo giornalista), consapevoli di un privilegio: per invito di Mel Gibson e del produttore Steve McEveety della Icon Films il Corriere è il primo giornale in Europa a vedere sullo schermo la cassetta appena giunta da Los Angeles con la copia finalmente definitiva. Quella stessa che mercoledì prossimo sarà in duemila sale americane, in cinquecento inglesi, in altrettante australiane, quella la cui attesa ha mandato in corto circuito tutti i siti Internet e che nella prima settimana recupererà (i book-maker lo danno per certo) i 30 milioni di dollari della produzione. Il Papa stesso non ha visto che una versione provvisoria, mancante tra l’altro di parte delle musiche. Ma sì, stasera siamo i primi, gli italiani dovranno attendere sino al 7 aprile, i francesi e gli spagnoli addirittura sino a giugno. Quando finiscono di scorrere i titoli di coda, dove i nomi americani si alternano a quelli italiani, dove i ringraziamenti al Comune di Matera si affiancano a quelli per teologi e specialisti di lingue antiche, dove Rosalinda, la figlia di Celentano (il diavolo) sta accanto a un’ebrea romena (la Madonna), quando il tecnico abbassa la leva che ridà la luce, nella saletta continua il silenzio. Due donne piangono, quietamente, senza singhiozzi; il monsignore in clergyman che ho accanto è pallidissimo, gli occhi chiusi; il giovane segretario tormenta nervoso un rosario; un timido, solitario inizio di applauso si spegne subito, nell’imbarazzo.
Per molti, lunghissimi minuti nessuno si alza, nessuno si muove, nessuno parla. Dunque, quanto ci annunciavano era vero: The Passion of the Christ ha colpito, l’effetto che Gibson voleva si è realizzato in noi, prime cavie. Per quanto vale, io stesso sono sconcertato e muto: per anni ho passato al vaglio, una per una, le parole del greco con cui gli evangelisti narrano quegli eventi, nessuna minuzia storica di quelle 12 ore a Gerusalemme mi è sconosciuta, ne ho tratto un libro di quattrocento pagine che Gibson stesso non ha ignorato. So tutto. O, meglio, scopro adesso che credevo di sapere: tutto cambia se quelle parole si traducono in immagini di una tale potenza da trasformarle in carne e in sangue, in segni graffianti di amore e di odio.


LA SCOMMESSA - Mel lo ha detto con l’orgoglio unito all’umiltà, con il pragmatismo impastato al misticismo che forma in lui un miscuglio singolare: «Se quest’opera dovesse fallire, per cinquant’anni non ci sarà futuro per il film religioso. Qui dentro abbiamo buttato il meglio: soldi quanti ne occorrevano, prestigio, tempo, rigore, carisma di grandi attori, scienza degli eruditi, ispirazioni dei mistici, esperienza, tecnica d’avanguardia. Ci abbiamo buttato, soprattutto, la nostra certezza che valeva la pena, che ciò che successe in quelle ore riguarda ogni uomo. Con questo Ebreo avremo a che fare per sempre, tutti, dopo la morte. Se non la spuntiamo noi, chi potrà farcela? Ma la spunteremo, ne sono certo: il nostro lavoro è stato accompagnato da troppi segni che me lo confermano». In effetti sul set è avvenuto assai più di quanto non si sappia, molto resterà nel segreto delle coscienze: conversioni, liberazioni dalle droghe, riconciliazioni tra nemici, abbandono di legami adulterini, apparizioni di personaggi misteriosi, esplosioni di energie straordinarie, figuranti lucani che si inginocchiavano al passaggio dello straordinario Caviezel-Gesù, persino due folgori, una delle quali ha colpito la croce, e che non hanno ferito alcuno. E, poi, coincidenze lette come segni: la Madonna con il volto dell’attrice ebrea a nome Morgenstern che, lo si è notato solo dopo, è, in tedesco, la Stella Mattutina delle litanie del rosario.
Gibson si è ricordato del monito del beato Angelico: «Per dipingere il Cristo, bisogna vivere con il Cristo». Il clima, tra i Sassi di Matera e gli studi di Cinecittà, sembra essere stato quello delle sacre rappresentazioni medioevali, dei cortei dei flagellanti davanti alle reliquie dei martiri. Un Carro di Tespi del Trecento, per il quale, ogni sera, un prete in talare nera, quella con la lunga fila di bottoni, celebrava una messa al campo, in latino, secondo il rituale di san Pio V. Proprio qui, in effetti, è la ragione vera della decisione di far parlare gli ebrei nella loro lingua popolare, l’aramaico, e i romani in un latino basso, da militari, che ferisce le orecchie di noi, vecchi liceali, abituati alle raffinatezze ciceroniane. Gibson, cattolico amante della Tradizione, è coriaceo assertore della dottrina ribadita al Concilio di Trento: la Messa è anche pasto fraterno ma è innanzitutto sacrificio di Gesù, rinnovazione incruenta della Passione. Questo è ciò che importa, non è il «capire le parole», come vogliono i nuovi liturgisti di cui Mel sbeffeggia la superficialità che gli appare blasfema. Il valore redentivo degli atti e dei gesti che hanno il vertice sul Calvario non ha bisogno di espressioni che chiunque possa capire. Questo film, per il suo autore, è una Messa: che, dunque, sia in una lingua oscura, com’è stata per tanti secoli. Se la mente non comprenderà, tanto meglio, ciò che conta è che il cuore capisca che tutto quel che è avvenuto ci redime dal peccato e ci apre le porte della salvezza. Proprio come ricorda la profezia di Isaia sul «Servo di Jahvé» che, a tutto schermo, è messa come prologo all’intera pellicola. Il prodigio, comunque, mi è sembrato verificarsi: dopo un po’, si abbandona la lettura dei sottotitoli per entrare, senza distrazioni, nelle scene - terribili e meravigliose - che bastano a se stesse.


LA QUALITÀ - Sul piano tecnico, l’opera appare di una qualità altissima, tanto che i precedenti film su Gesù potranno sembrare ridotti a parenti poveri e arcaici: in Gibson, luci sapienti, fotografia magistrale, costumi straordinari, scenografie scabre e, quando necessarie, sontuose, trucco di incredibile efficacia, recitazione di grandi professionisti, sorvegliati da un regista che è anche un loro illustre collega. Soprattutto, effetti speciali talmente mirabolanti che, come ci diceva Enzo Sisti, il produttore esecutivo, resteranno segreti, a conferma dell’enigma dell’opera, dove la tecnica vuole essere a servizio della fede. Una fede nella versione più cattolica - non a caso il compiacimento del Papa e di tanti cardinali, Ratzinger non escluso - di cui The Passion è un manifesto che gronda simboli che solo un occhio esercitato discerne in pieno. Occorrerebbe un libro (due, in effetti, sono in preparazione) per aiutare lo spettatore a capire.
In sintesi estrema, la «cattolicità» radicale del film sta innanzitutto nel rifiuto di ogni demitizzazione, nel prendere i vangeli come cronache precise: le cose, ci viene detto, sono andate così, proprio come la Scrittura le descrive. Il cattolicesimo sta, poi, nel riconoscimento della divinità di Gesù che convive con la sua piena umanità. Una divinità che erompe, drammaticamente, nella sovrumana capacità di quel corpo di subire una quantità di dolore come mai alcuno né prima né dopo, in espiazione di tutto il peccato del mondo. Ma la «cattolicità» radicale sta anche nell’aspetto «eucaristico», riaffermato nella sua materialità: il sangue della Passione è intrecciato di continuo al vino della Messa, la carne martoriata del corpus Christi al pane consacrato. E sta, pure, nel tono fortemente mariano: la Madre e il Diavolo (che è femmina o, forse, androgino) sono onnipresenti, l’una con il suo dolore silenzioso, l’altro - o l’altra - con il suo compiacimento maligno. Da Anna Caterina Emmerich, la veggente stigmatizzata, Gibson ha preso intuizioni straordinarie: Claudia Procula, la moglie di Pilato, che offre, piangendo, a Maria i panni per raccogliere il sangue del Figlio è tra le scene di maggior delicatezza in un film che, più che violento, è brutale. Come brutale fu, appunto, la Passione. Il Pietro disperato dopo il rinnegamento, si getta ai piedi della Vergine per ottenere perdono. Credo, comunque, che l’importanza, anche teologica, attribuita alla Madonna nonchè l’eucarestia, non spiritualizzata, non ridotta a «memoriale» ma vista nel modo più materiale, dunque cattolico (la transustanziazione ), creeranno qualche disagio nelle chiese protestanti americane che, senza avere visto il film, già si sono organizzate per favorirne la diffusione.
Se al martirio sono dedicate due ore, due minuti bastano per ricordare che non fu quella l’ultima parola. Dal venerdì santo alla domenica di Pasqua, alla risurrezione, che Gibson ha risolto accogliendo una particolare lettura delle parole di Giovanni: uno «svuotamento» del lenzuolo funerario, lasciando un segno sufficiente per «vedere e credere» che il suppliziato ha trionfato della morte.
Antisemitismo o, almeno, antigiudaismo? Non scherziamo con parole troppo serie. A visione effettuata, penso abbiano ragione i non pochi, e autorevoli, ebrei americani che ammoniscono i loro correligionari di non condannare prima di vedere. Chiarissimo è, nel film, che ciò che grava sul Cristo e lo riduce in quello stato non è la colpa di questo o di quello, bensì tutto il peccato di tutti gli uomini, nessuno escluso. All’ostinazione nel chiedere la crocifissione da parte di Caifa (quel sadduceo collaborazionista che non rappresentava affatto il popolo ebreo, da cui era anzi detestato, il Talmud su di lui e sul suocero Anna ha parole terribili), fa più che abbondante contrappeso il sadismo inaudito dei carnefici romani; alle viltà politiche di Pilato che lo portano a violentare la sua coscienza, si oppone il coraggio del sinedrita - episodio aggiunto dal regista - che affronta il Sommo Sacerdote gridandogli che quel processo è illegale. E non è forse ebreo il Giovanni che sorregge la Madre, non è ebrea la pietosa Veronica, non è ebreo l’impetuoso Simone di Cirene, non sono ebree le donne di Gerusalemme che gridano la loro disperazione, non è ebreo Pietro che, perdonato, morirà per il Maestro? All’inizio del film, prima che il dramma si scateni, la Maddalena chiede, angosciata, alla Vergine: «Perché questa notte è così diversa da ogni altra?». «Perché - risponde Maria - tutti gli uomini erano schiavi e ora non lo saranno più». Tutti, ma proprio tutti: «giudei o gentili» che siano. Quest’opera, dice Mel Gibson amareggiato da aggressioni preventive, vuol riproporre il messaggio di un Dio che è Amore. E che Amore sarebbe se escludesse qualcuno?




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Matera - Basilicata - Italy - EUAneddoti e retroscenaGuida al film

Abbiamo creato queste pagine nel nostro sito www.sassiweb.it dedicato a Matera
ed ai Sassi, solo perche' il film è stato girato nella nostra città e ne abbiamo
raccolto direttamente notizie ed immagini. Tutte le foto con il nostro logo sono
state scattate da alcune comparse durante le pause del film ed è vietato
prelevarle senza il nostro consenso. Tutte le altre sono state tratte dal web e
sono dei rispettvi autori.Leggendo alcuni articoli apparsi sulla stampa, sembra
quasi che il set a Matera sia stato un Campo dei Miracoli: gente che
riacquistava la vista, cortei di flagellanti, gente che si inginocchiava
guardando gesù, fulmini, saette, mariti che decidevano di non tradire più la
loro compagna, eventi prodigiosi...

Sinceramente, se è vero che nel set si lavorava con molta serietà e
professionalità, se è pur vero che molti hanno vissuto questa esperienza con
grande trasporto spirituale, forse bisognerebbe riportare un pò le cose alla
loro realtà. Nessuno qui a Matera è in grado di testimoniare un evento
miracoloso, dai fulmini che miracolosamente lasciano illesi, ai muti che hanno
ripreso a parlare. Questo non vuol dire che quelle cose non siano successe, vuol
dire che nessuno qui a Matera le ha viste...

Se avrete la pazienza di leggere anche la prossima pagina, su Matera e la
stampa, alcune cose a proposito vi saranno più chiare. Questa premessa era
doverosa per dirvi che in questa pagina non si fa menzione di alcun miracolo.

Mel Gibson e tutta la troupe del film sono stati qui a Matera da settembre a
dicembre 2002, e nonostante quello che possiate immaginare, la città è stata
molto discreta: se pensavate a centinaia di persone accalcate per strappare un
autografo a Gibson o alla Bellucci, siete fuori strada. Anche perchè dopo 90
giorni non era più così clamoroso incontrare Mel Gibson per strada.

La selezione delle comparse ha riguardato circa 5.000 persone provenienti da
tutt'Italia, e ne sono state scelte 1.000. La paga era di 63 euro al giorno, ed
era incluso il pranzo a sacco. Ci si recava sul set alle cinque del mattino, e
si terminava poco prima del tramonto. Durante le riprese sul "Golgota", poichè è
una zona molto esposta, il freddo era davvero notevole e molto difficile da
sopportare, specie se si pensa alle controfigure dei ladroni o di Gesù,
praticamente nudi sulla Croce. Per simulare il sudore veniva spalmata della
glicerina sul volto.

Durante le scene della Crocifissione, girate nel Parco delle chiese rupestri, il
"camerino"di Gibson era appunto dentro una di queste chiese scavate nella
roccia. La chiesa risale al MedioEvo e presenta alcuni affreschi del 1200, ma
naturalmente adesso è sconsacrata. Nei dintorni di Matera ce ne sono oltre 150,
grandioso esempio della civiltà rupestre.

Gibson è sempre stato con tutti molto umile e disponibile, e mai si aveva
l'impressione di parlare con una star del suo calibro. Inizialmente ha destato
molto stupore la sua profonda conoscenza dei testi biblici ed evangelici, che
era in grado di citare a memoria in latino.

Storica a questo proposito è stata una famosa discussione che Gibson ha avuto
con Padre Gavazzeni della parrocchia di Sant'Agnese. Oltre tre ore di accesa
discussione, avvenuta girando per la stanza del sacerdote con l'interprete che
non riusciva a star dietro. Quando ad un certo punto Don Basilio disse che
avrebbe dato la vita per Cristo, Gibson risose:"Me too." ("anch'io").

Gibson chiese la possibilità di una messa in latino. A dire il vero sul set la
messa in latino veniva quotidianamente celebrata, ma Gibson insisteva affinchè
fosse celebrata, almeno una volta, da un prete di Matera. Don Basilio si
rifiutò, ma Don Angelo, della parrocchia di San Rocco, una volta ottenuto il
permesso dal Vescovo, officiò una Messa molto particolare nella Chiesa della
Palomba: il suo chierichetto era Gibson in persona.

Presente alla Messa era anche la proprietaria dell'Albergo Italia, dove Gibson
ha soggiornato per i tre mesi della sua permanenza, e che doveva assicurare
discrezione e silenzio per l'illustre ospite, che sul libro degli ospiti ha
lasciato un affettuoso messaggio concluso con "Tornerò, non vi dimenticherò
mai."

Gibson si alzava molto presto la mattina (notte, visto che erano le quattro) e
si recava in un fitness center della città (apriva appositamente per lui). Nei
ristoranti di solito prende verdure, carne o pesce, ed apprezza motlo il pane di
Matera condito da semplice olio d'oliva.

In ben due scene del film Gibson compare: sono sue le mani che infilzano e
martellano il chiodo sui palmi di Gesù (era stato uno degli argomenti della
discussione con Don Basilio), e sua è la mano che solleva la Maddalena da terra,
come mostrano le nostre foto qui a lato.Top L'interno della chiesa rupestre
Madonna delle Tre porte, usata come "camerino"da Gibson durante le riprese della
crocifissione. Qui erano tenute anche le scatole contenenti il finto sangue che
veniva versato su Caviezel.La camera d'albergo che ha ospitato Gibson
Gibson scherza con la Bellucci dopo una scena, dove è la sua mano a sollevare
la Maddalena.
Qui sotto, è lui a piantare il chiodo sul palmo di Cristo.
Don Angelo era anche il prete che accompagnava sempre Jim Cavieziel sul set. A
proposito, l'attore ha gli occhi azzurri, ma il Gesù del film li ha castani. E'
stato infatti effettuato un trattamneto CGI sulle immagini, come mostra un
confronto più in basso. Jim recitava il rosario durante le pause delle riprese,
e prima di girare si confessava e prendeva la Comunione. Naturalmente gli attori
principali avevano un interprete personale. Era davvero impressionante
imbattersi in Caviezel sul set, visto che sembrava davvero Gesù flagellato. Per
poter essere così si svegliava verso l'una di notte, e si sottoponeva ad
estenuanti otto ore di trucco.

Date le basse temperature invernali, ha sofferto di ipotermia, nonostante l'uso
di un robot per le scene dove non era necessaria la sua presenza (riprese da
lontano) o dove non era consigliabile (trafittura del costato con la lancia).
Circa questo robot, di cui noi siamo stati i primi a diffondere in rete la
notizia nel lontano novembre 2002 (qualcuno ha gridato di aver fatto uno scoop
un anno e mezzo più tardi), è davvero qualcosa di impressionante. Aveva
esattamente le sembianze di Caviezel, respirava, chinava il capo e muoveva le
mani, radiocomandato dal regista, e trasudava proprio come un uomo. Vi
garantisco che sorgeva il dubbio molte volte: è Jim o il robot?

Nonostante il robot, Cavieziel si è fatto male comunque alcune volte. Durante la
flagellazione, nonostante ci fosse un asta metallica a pochi centimetri dalla
sua schiena, per un errore di mira del soldato una frustata l'ha ricevuta
davvero. Alcuni hanno parlato di una corona di spine che avrebbe creato
malesseri quanto quella vera. Hanno usato varie "corone di spine", ed una di
queste è ancora a Matera. Non vorrei deludervi, ma è di gomma...
Durante la Via Crucis poi qualcuno gli è andato addosso e si è slogato una
spalla. Gibson infatti aveva espressamente richiesto alla gente di insultare,
offendere e colpire Gesù durante il suo cammino, i soldati dovevano trattare
male sia Gesù che il popolo.

In una di queste scene, un soldato, come suggerito da Gibson sputò addosso ai
popolani, ma questi subito protestarono facendo interrompere la scena, non si
aspettavano di dover ricevere anche sputi. Mentre ai soldati era detto di
gridare frasi del tipo "Vade retro" rivolte al popolo, questi ultimi dovevano
urlare in aramaico. Le comparse più anziane erano in difficoltà, così Gibson
suggerì che avrebbero potuto gridare qualcosa in dialetto materano. Scherzando
potremmo dire che il materano è la terza lingua del film! (naturalmente nel
vociare della folla non si possono distinguere le grida).

Oltre alle location, le comparse, gli alberghi e quant'altro, Matera è stata
impegnata anche sul fronte dell'artigianato. E' stato un fabbro di Matera a
creare i chiodi della crocifissione (ne sono stati usati oltre cento), o che
hanno creato gli arredi che si vedono nelle strade di "Gerusalemme", e che hanno
collaborato alla messa in opera di alcuni apparati scenografici come la Porta di
Gerusalemme, che erano fatti così bene che non si distingueva il finto dal vero.

Ci sarebbero molte altre cose da dire, e altre ne verranno aggiunte qui
prossimamente, ma penso di aver dato l'idea di quello che era il set qui a
Matera, dove nessuno si è preso la briga di ritrovare nella Bibbia (a dir loro)
centinaia di frasi dove è presente il nome di Mel Gibson. Se volete potete darci
un'occhiata qui: http://www.biblecodedigest.com/page.php/226

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